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eLearning Specialist: vietato lamentarsi!

Esiste un giusto modo di pensare che sia in grado di tirar fuori il meglio di noi stessi e ottimizzare la condizione del freelance all’interno del mercato italiano dell’eLearning? Iniziamo con il pensare alla prima cattiva abitudine: il lamentarsi


Ho analizzato i vantaggi e gli svantaggi dell’essere un eLearning Specialist freelance in vari articoli precedenti. Adesso è il momento di occuparci del mindset, ossia del giusto modo di pensare che sia in grado di tirar fuori il meglio di noi stessi e ottimizzare la condizione del freelance all’interno del mercato italiano dell’eLearning.

Comiciamo con la prima considerazione: a cosa serve lamentarsi?

Per rispondere, prendo spunto da una frase di George Bernard Show, molto chiara sul punto:

“Le persone che si lamentano del proprio stato danno sempre la colpa alle circostanze. Le persone che vanno avanti in questo mondo sono quelle che si danno da fare e cercano le circostanze che vogliono e se non riescono a trovarle, le creano”.

(George Bernard Shaw)

Molte persone assumono nel tempo l’abitudine di lamentarsi e lo fanno spesso davanti ai loro affetti, ma anche sul posto di lavoro con i loro colleghi. La loro abitudine alla lamentatela è talmente radicata da assumere le sembianze di un tratto caratteriale. E’ tipico infatti di queste persone credere di avere un “carattere lamentoso”. In realtà non è una questione di carattere, ma di abitudine consolidata ad esprimere lamentele.

Questa abitudine, oltre al fatto di essere deleteria, perché fa vivere nella sofferenza che viene generata dal continuo lamentarsi e quindi dal conti- nuo sottolineare a se stessi e agli altri la presunta penosità della condizione lamentata, è per di più inutile, in quanto non contribuisce in modo attivo a compiere delle azioni, a prendere delle decisioni che possano modificare la situazione attuale che determina la lamentela stessa.

Fissiamo una call?

Lamentarsi è di fatto una trappola: ed è una trappola subdola e insidiosa, paragonabile ad una ragnatela. Come un ragno tesse la sua tela lentamente, un po’ al giorno, allo stesso modo continuando a lamentarsi tutti i giorni la persona crea intorno a sé una ragnatela in cui essa stessa rimane imprigionata.

Il lamentio conduce lentamente alla paralisi e, alla fine, il tempo verrà impiegato per lo più a lamentarsi che ad agire, rafforzando il convincimento che nulla possa farsi per cambiare le cose. La lamentela porta ben presto alla scarsa auto- stima, alla tristezza e persino alla depressione.

Il problema di fondo è che la maggior parte delle persone ritiene – sbagliando – che lamentarsi sia utile. È di fatto una convinzione limitante. La mente però ha una sua convenienza nel mantenere questa cattiva abitudine. In altre parole, lamentarsi non produce risultati sul piano del cambiamento della situazione che stiamo vivendo, ma produce altri risultati, ha una sua intrinseca utilità. Per capire questo, e cioè il perché l’abitudine a lamentarsi è così forte e si mantiene così tanto nel tempo – se non si sa come impedirlo – è giusto concentrarsi gli effetti della lamentela. Eccone alcuni:

  • orienta tutte le energie mentali sullo stesso problema, assorbendole completamente. Ci concentriamo sul problema oggetto della lamentela, dimenticando tutto il resto;
  • riporta alla mente tutte le emozioni negative connesse al vissuto oggetto della lamentela, facendole rivivere per tutto il tempo in cui ci si dedica al lamento;
  • cristallizza la visione del problema, cioè ci impedisce di vedere l’oggetto della nostra lamentela da altri punti di vista, che potrebbero essere utili da analizzare per aggredire il problema e trovare una soluzione;
  • ci fa concentrare sul passato, impedendoci di vivere il presente (che è fatto anche di altro) e non ci consente di costruire un futuro basato sulle azioni differenti, che oggi potremmo compiere per costruire una soluzione al problema che ci affligge;
  • alimenta pensieri negativi, ossessivi, genera emozioni spiacevoli per tutto il tempo del lamento e ci lascia un senso di dolore durante la giornata;
  • costruisce nel tempo l’idea che il cambiamento sia impossibile.

Ogni singola “utilità” della lamentela è relativa al dolore. La lamentela è utile per protrarre la sensazione di dolore e di incapacità di cambiare. Non ha un’altra utilità, non produce un risultato in grado di cambiare l’oggetto della lamentela. La lamentela alimenta sé stessa e tutte le sue conseguenze negative nel tempo. Lamentarsi quindi serve solo… a lamentarsi!

E’ dunque una trappola che imbriglia con l’illusione di uno sfogo, che diventa, giorno dopo giorno, convinzione limitante sulla realtà, fino a trasformarsi in un atteggiamento consolidato della vita. Paralizza lentamente e inesorabilmente.

L’illusione dello sfogo è proprio la porta d’accesso alla trappola.

La cattiva abitudine del lamentarsi entra in punta di piedi nel nostro vivere quotidiano, e noi quasi non ce ne accorgiamo: anzi, all’inizio le diamo persino il benvenuto. Il primo passo della trappola è infatti lo sfogo. Per carità, ogni tanto sfogarsi è umano, è giusto liberare ogni tanto le nostre frustrazioni, le nostre tensioni, comunicandole all’esterno, con un familiare, un amico, un collega. Siamo esseri umani e la comunicazione interpersonale è un elemento caratterizzante ed ineliminabile della nostra vita.

Sfogarsi è umano ed è utile, a patto che lo sfogo rimanga un’attività marginale, occasionale e limitata. Se lo sfogo diventa un’abitudine quotidiana, ripetuta più volte, lo sfogo diventa la porta d’accesso alla trappola della lamen- tela e ci riesce in modo subdolo ed è per questo che noi non ce ne accorgiamo il più delle volte.

Cosa fa lo sfogo? Ci libera, ci consente di estromettere tutto il dolore che proviamo dentro, riusciamo cioè a tirare fuori la nostra negatività, comunicandola ad amici o parenti o colleghi. Questo atto liberatorio ci fa stare subito bene, perché ci sentiamo compresi, amati, e riusciamo persino ad ottenere consigli, suggerimenti, consolazione. Tutto questo è perfettamente normale ed umano. Non lo è più però, se questo comportamento si ripete spesso, per due motivi:

  • comunicare esternamente la propria negatività agli altri in modo ripetuto, può causare negli altri un sentimento di allontanamento. Le persone percepite come “negative”, proprio perché tendenti ad esternalizzare troppo e troppo spesso il loro dolore, possono “contagiare” con il loro pessimismo gli altri. Per questo motivo possono essere oggetto di emarginazione sociale. Questo comporta in buona parte di loro un’ulteriore ricaduta nella lamentela e nella depressione, perché trovano sempre meno persone disposte ad ascoltarle. In realtà dovrebbe essere il contrario: riducendo gli sfoghi e aumentando l’autocontrollo, si potrebbe costruire un rapporto sano con gli altri, in cui occasionalmente possa avvenire uno sfogo, che sarebbe compreso e accettato, proprio perché limitato e marginale rispetto al comportamento ordinario della persona;

  • lo sfogo di fatto è come una droga. Ci fa stare bene subito, ma poco dopo ci rendiamo conto che il nostro lamento non ha prodotto risultati sulla realtà. Parlandone con qualcuno, la realtà non si modifica da sola. Bisogna agire sulla realtà per Per quanto possano essere legittime e fondate le nostre motivazioni, il nostro dolore, parlandone a dismisura non faremo nulla di realmente utile per porre un termine a questa sofferenza. L’azione produce risultati, il pensiero e tutte le abitudini basate meramente sul pensiero sono di fatto improduttive. Così come la droga ci dà subito benessere, ma poi ci lascia vuoti e nello stesso dolore di prima, lo sfogo ci fa stare subito bene, ma poi la sensazione di non aver risolto nulla ci farà ripiombare in uno stato di malessere. Ciò potrebbe portarci a produrre un nuovo sfogo, al fine di riprovare nuovamente quel senso di sollievo: in questo modo nel tempo si costruisce l’abi- tudine deleteria della lamentela.
Fissiamo una call?

Quindi una cosa è certa: lamentarsi è un’abitudine da cambiare.

Bisogna passare dalla lamentela all’azione, dal dolore alla speranza. Ecco alcuni consigli:

  • piuttosto che lamentarti, crea una nuova abitudine piacevole che ti coinvolga emotivamente, qualunque essa sia (deve rispecchiare i tuoi interessi, ciò che ti piace);
  • riduci consapevolmente il tempo della lamentela, individuando un luogo e un tempo prestabilito per sfogarti. Così come per una dipendenza da droga, non puoi ottenere risultati togliendo di colpo la droga, ma assumendone di meno nel tempo, e facendo fronte alle “crisi di astinenza”;
  • dopo un primo periodo di riduzione del tempo di sfogo, decidi un giorno della settimana in cui è vietato lamentarsi, utilizzando una precisa strategia, quando ti accorgi che in te sta riemergendo la voglia di sfogarti;
  • crea una strategia, ossia una serie di azioni precise, che possano produrre un cambiamento nella tua vita, nella direzione in cui tu desideri, anche piccole cose, piccoli risultati concreti che trasformino la tua vita quotidiana.

Ovviamente se lo sfogo è utile occasionalmente, è ancor meglio sfogarsi con uno specialista, nel senso che esternalizzare il dolore può essere un atto utile, se il nostro dolore, la nostra condizione di sofferenza, viene comunicata ad un professionista in grado di recepire il nostro modo di pensare e di agire e – di conseguenza – può darci dei suggerimenti concreti, perché ha esperienza e competenza in materia e può quindi guidarci al di fuori della trappola.

I consigli e i suggerimenti di amici e parenti, per quanto importanti sul piano dell’affetto, del sentirsi compresi, non hanno un valore realmente concreto, perché il più delle volte si soffermano al buon senso dell’uomo della strada: un professionista può invece descrivere un percorso chiaro verso l’obiettivo finale, ossia smettere di lamentarsi e cambiare la propria vita.